La manifestazione di fronte al Parlamento bosniaco
martedi 11 giugno (Foto Andrea Rossini)
Andrea Rossini:
Migliaia di persone hanno dimostrato ieri di fronte al Parlamento bosniaco nella più grande manifestazione dall'inizio delle proteste. Damir Imamović, il popolare musicista sarajevese, partecipa al movimento. Nostra intervista
Migliaia di persone hanno dimostrato ieri di fronte al Parlamento bosniaco nella più grande manifestazione dall'inizio delle proteste. Damir Imamović, il popolare musicista sarajevese, partecipa al movimento. Nostra intervista
Un cordone di polizia impedisce ai manifestanti di raggiungere il
piazzale su cui si affacciano le sedi di governo e parlamento. La gente
si assiepa sulla scalinata e nella Zmaja od Bosne, la grande
arteria che collega il centro storico di Sarajevo con i nuovi quartieri e
l'aeroporto. Intorno alle 14 ci sono circa 5.000 persone, ma il numero è
in crescita e non sono ancora arrivati i dimostranti da Zenica e altre
città. Nella “bebolucija”, così i media locali hanno definito il
movimento di protesta contro l'incapacità dei politici di risolvere la
questione della registrazione anagrafica dei nuovi nati, ci sono
soprattutto giovani, in gran parte studenti. Tutte le fasce di età sono
però ben rappresentate. Forte è la presenza di mamme, venute a
protestare con i propri bimbi, e di pensionati, che discutono in
capannelli. Gruppi di lavoratori, in particolare tassisti, mostrano la
propria solidarietà con caroselli di macchine che si avvicinano ai
manifestanti.
Il simbolo delle proteste è un ciuccio con il pugno chiuso, nuova
icona nella stagione europea di occupy. Il clima appare festoso, senza
momenti di tensione. Ci sono le maschere di Guy Fawkes e le inevitabili
citazioni della cinematografia jugoslava anni '70 (“Sono tornato.
Firmato: Valter” e “I parlamentari corrono l'ultimo giro”).
L'atteggiamento dei manifestanti è tuttavia determinato. Gli slogan sono
contro il nazionalismo e in particolare contro i politici, ritratti con
maschere di cartapesta e cartelloni colorati. Nella piazza cala il
silenzio quando sale al microfono Damir Imamović, il popolare musicista e
interprete di sevdah che fin dall'inizio partecipa al movimento. La
gente lo segue prima distrattamente mentre, accompagnandosi con la
chitarra, intona canzoni di band sarajevesi, prima gli Ambasadori,
Zemljo moja
, e poi gli Indexi, Da sam ja netko
. Poi i manifestanti si bloccano per cantare all'unisono quando Imamović accenna le prime note di una sevdah, Srdo moja
Perché hai scelto proprio questa sevdah?
Ha un messaggio molto semplice, dice “Srda mia, non litighiamo”.
Quali sono gli obiettivi di queste manifestazioni?
L'obiettivo non è cambiare il governo o fare una rivoluzione, ma fare capire a chi ci governa che non è più possibile giocare la carta del nazionalismo, accusarsi a vicenda per il fatto di avere una diversa appartenenza etnica, religiosa o nazionale. Queste manifestazioni sono cominciate perché non riuscivano ad accordarsi tra di loro neppure per risolvere un problema così semplice come quello dell'assegnazione dei numeri identificativi, che servono ai nuovi nati per avere i documenti di identità. Questo ha messo a rischio le vite dei bambini, ed è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
È possibile che un movimento possa sbloccare l'attuale situazione politica bosniaca?
La nostra pressione ha già raggiunto dei risultati, siamo già riusciti a provocare un intervento da parte dei politici. Naturalmente non è sufficiente. I politici hanno elaborato una soluzione temporanea alla questione dell'assegnazione dei numeri identificativi, ma devono risolverla in maniera definitiva. È certo che non risponderanno subito alle nostre sollecitazioni.
Le manifestazioni di questi giorni potrebbero rappresentare l'inizio di una primavera bosniaca?
Lo spero. Ma non credo che il nazionalismo e l'odio etnico scompariranno in uno o due giorni. Neppure in un anno.
Quali sono le differenze tra questo movimento e altre mobilitazioni simili che si sono verificate in Bosnia in passato?
Alcuni media si sono schierati chiaramente dalla nostra parte, dalla parte dei cittadini, e inoltre la comunicazione via internet sta funzionando molto bene. Siamo riusciti a contrastare la prima ondata di attacchi che cercavano di dividere le mobilitazioni sulla base delle diverse appartenenze nazionali, cosa che in passato era avvenuta con successo. Oggi abbiamo qui persone che vengono da ogni parte della Bosnia Erzegovina, attivisti delle organizzazioni più diverse, e la cosa importante è che si tratta di un movimento genuinamente di base, nessuno sta cercando di cavalcarlo. Questo rende più difficile l'organizzazione, ma stiamo facendo tesoro dell'esperienza dei movimenti di occupy.
Quali sono le tue motivazioni personali per partecipare a questo movimento?
Ho deciso di partecipare dal primo giorno perché ho sentito che si trattava di un movimento che cercava davvero di creare unità, non divisione. Io sono un musicista che lavora nel contesto della musica tradizionale di questa regione, credo che sia mio dovere far sentire la mia voce. E sostenere questo movimento, quanto possibile.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso
Damir Imamović
Damir Imamović
(Sarajevo, 1978), musicista, è attualmente uno dei principali
interpreti della sevdah, genere tradizionale che affonda le proprie
radici nella regione balcanica. Dopo aver pubblicato due dischi con il Damir Imamović Trio e altri due dischi da solo, ha attualmente dato vita ad un nuovo progetto musicale, il Damir Imamović Sevdah Takht,
con Ivan Mihajlović (basso) e Nenad Kovačić (percussioni), per
esplorare ulteriormente la sevdah secondo un continuo processo di
apprendimento e ricerca.
Ha un messaggio molto semplice, dice “Srda mia, non litighiamo”.
Quali sono gli obiettivi di queste manifestazioni?
L'obiettivo non è cambiare il governo o fare una rivoluzione, ma fare capire a chi ci governa che non è più possibile giocare la carta del nazionalismo, accusarsi a vicenda per il fatto di avere una diversa appartenenza etnica, religiosa o nazionale. Queste manifestazioni sono cominciate perché non riuscivano ad accordarsi tra di loro neppure per risolvere un problema così semplice come quello dell'assegnazione dei numeri identificativi, che servono ai nuovi nati per avere i documenti di identità. Questo ha messo a rischio le vite dei bambini, ed è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
È possibile che un movimento possa sbloccare l'attuale situazione politica bosniaca?
La nostra pressione ha già raggiunto dei risultati, siamo già riusciti a provocare un intervento da parte dei politici. Naturalmente non è sufficiente. I politici hanno elaborato una soluzione temporanea alla questione dell'assegnazione dei numeri identificativi, ma devono risolverla in maniera definitiva. È certo che non risponderanno subito alle nostre sollecitazioni.
Lo spero. Ma non credo che il nazionalismo e l'odio etnico scompariranno in uno o due giorni. Neppure in un anno.
Quali sono le differenze tra questo movimento e altre mobilitazioni simili che si sono verificate in Bosnia in passato?
Alcuni media si sono schierati chiaramente dalla nostra parte, dalla parte dei cittadini, e inoltre la comunicazione via internet sta funzionando molto bene. Siamo riusciti a contrastare la prima ondata di attacchi che cercavano di dividere le mobilitazioni sulla base delle diverse appartenenze nazionali, cosa che in passato era avvenuta con successo. Oggi abbiamo qui persone che vengono da ogni parte della Bosnia Erzegovina, attivisti delle organizzazioni più diverse, e la cosa importante è che si tratta di un movimento genuinamente di base, nessuno sta cercando di cavalcarlo. Questo rende più difficile l'organizzazione, ma stiamo facendo tesoro dell'esperienza dei movimenti di occupy.
Quali sono le tue motivazioni personali per partecipare a questo movimento?
Ho deciso di partecipare dal primo giorno perché ho sentito che si trattava di un movimento che cercava davvero di creare unità, non divisione. Io sono un musicista che lavora nel contesto della musica tradizionale di questa regione, credo che sia mio dovere far sentire la mia voce. E sostenere questo movimento, quanto possibile.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso
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