di Azra Nuhefendić
Trieste 11 luglio 2013
L'11 luglio si commemora il genocidio di Srebrenica, presso il
Memoriale di Potočari. Il giorno dopo, a pochi chilometri di distanza, i
nazionalisti serbi commemorano le "loro vittime". Quando il
negazionismo rischia di cancellare la storia
Il giorno dopo l’11 luglio, commemorazione
annuale del genocidio di Srebrenica, i serbo-bosniaci della zona
ricordano i propri caduti in guerra.
Fino a un paio d’anni fa, la “cerimonia” si
consumava con oltraggiosi cortei di nazionalisti locali e “colleghi” che
venivano dalla Serbia e dal Montenegro. Marciando nel centro di
Srebrenica, vestiti con maglie che portavano stampati i volti dei
criminali massacratori Ratko Mladić e Radovan Karadžić, i fieri
nazionalisti sventolavano le bandiere nere dei cetnici ed esibivano
poster con l’infame scritta/minaccia: “Nož-žica-Srebrenica”
(coltello-filo spinato-Srebrenica). La commemorazione si concludeva con
una sagra svolta tra fiumi di birra, rakija (la grappa dei Balcani),
maiali allo spiedo e gare sportive.
L’obiettivo era umiliare i sopravvissuti al
genocidio, facendo capire alle vittime che i colpevoli non erano pentiti
delle atrocità commesse e, anzi, si consideravano padroni della terra
in cui fecero pulizia etnica.
Negli ultimi anni, il programma della cerimonia
è cambiato. Oggi viene tenuta nel cimitero militare, costruito nella
città di Bratunac - a soli 11 chilometri dal Centro Memoriale di
Potočari - dove sono sepolte le vittime del genocidio.
Le autorità serbo-bosniache asseriscono che,
nel cimitero militare di Bratunac, siano sepolti più di 3500 serbi,
"vittime di terroristi musulmani. “Se si dovesse parlare di genocidio,
il posto giusto sarebbe questo”, disse il presidente della RS Milorad
Dodik, un paio d’anni fa, durante la commemorazione.
Negare il genocidio
Di
questa cerimonia, è contestabile quasi tutto: il numero di vittime, la
data di commemorazione, il luogo, i messaggi mandati da chi si riunisce.
La “rievocazione” a Bratunac, fa parte di una
lunga campagna indetta dai nazionalisti serbi che ha lo scopo di negare
il genocidio e alleggerire i loro crimini, giustificandoli con presunte
vittime serbe. Così, riaggiustano la storia, distorcono i fatti, tentano
di presentare i difensori di Srebrenica come aggressori, manipolando
l'opinione pubblica.
Il nodo centrale dei tentativi di negare il
genocidio è l'argomentazione che l'offensiva serba venne provocata da
attacchi musulmano-bosniaci, da Srebrenica, contro i villaggi serbi
vicini.
Tali conclusioni sugli eventi che precedettero
il genocidio di Srebrenica non stanno in piedi. Sono tentativi di
presentare assediati e vittime quali aggressori. Srebrenica fu sotto
assedio per tre anni e mezzo e venne bombardata dai villaggi serbi
vicini pesantemente militarizzati. Durante l’assedio, gli abitanti della
cittadina vivevano in condizioni disumane, esposti ogni giorno a
bombardamenti e spari da parte dei cecchini cetnici. L'ex ambasciatore
alle Nazioni Unite, Diego Arria, che guidò la delegazione del Consiglio
di sicurezza dell'Onu a Srebrenica - nell'aprile 1993 - descrisse la
situazione quale un “processo di slow motion genocida”.
Nella relazione delle Nazioni Unite sulla
condotta dei musulmani nella Srebrenica dell’epoca, si afferma che, “da
un punto di vista militare, gli attacchi non ebbero rilevanza e vennero
eseguiti da persone in cerca di cibo”, poiché le forze serbe impedirono
ogni accesso ai convogli umanitari e, di conseguenza, la popolazione
versò in stato di fame e freddo". Anche le fonti serbe che parteciparono
alla compilazione del documento, confermarono che “le operazioni (dei
musulmani, ndr) non rappresentarono alcuna minaccia”. In aggiunta, la
“difesa per necessità”, come nel caso di Srebrenica, è riconosciuta come
principio consolidato nel diritto internazionale.
Sempre più vittime serbe
Con
il passare del tempo, il numero delle presunte vittime serbe nei pressi
di Srebrenica crebbe. Fino ad alcuni anni fa, la Commissione della
Republika Srpska (RS) per crimini di guerra, asseriva che vennero uccisi
995 serbi della regione Bratunac-Srebrenica-Skelani. Poi, cambiarono
idea e, per un paio d’anni, la cifra mutò in 1400. Oggi sarebbero 3500.
Il numero cambia, non perché – come nel caso di
Srebrenica - si scoprono nuove fosse comuni con i resti dei fucilati,
ma perché i manipolatori aggiungono alle vittime nomi di serbi morti
altrove in Bosnia e non per forza di cose nel corso dell’ultima guerra.
Il Centro di Ricerca e Documentazione (Research and Documentation Center,
RDC) di Sarajevo, in cui lavorano congiuntamente investigatori
bosgnacchi, serbi e croati, ha indagato sulle presunte vittime serbe a
Srebrenica e dintorni. Dopo aver controllato i dati basati sui
certificati di morte e dopo aver contato le tombe, l’RDC concluse che il
numero dei civili serbi che persero la vita dal 1992 al 1995, fu di
843. Esso non si riferisce a una sola città o a un’unica località, ma
all’intera regione di Podrinje centrale. Per di più, le vittime serbe
non vennero giustiziate in un giorno o in una settimana - come quelli di
Srebrenica - ma perirono in quattro anni di guerra.
Tutti i dati pubblicati dall’RDC vennero
esaminati e confermati dagli esperti impiegati dal Tribunale penale
internazionale per l'ex Jugoslavia (ICTY). Dopodiché anche l’Ufficio del
Procuratore dell'Aia riconobbe che, la presunta cifra di oltre 3500
morti serbi intorno a Srebrenica, “non rifletteva la realtà”.
Non basta. “Soldati e poliziotti che persero la
vita in un conflitto armato non possono essere equivalenti alle vittime
dei crimini di guerra, come, per esempio, le esecuzioni di massa”,
precisò l’Ufficio del procuratore dell'Aia.
Un esempio
Forse,
l'esempio più chiaro di mistificazione è quello di Kravica, villaggio
serbo nei pressi di Bratunac, attaccato dall'esercito bosniaco la
mattina del Natale ortodosso, il 7 gennaio 1993. Le accuse secondo cui
l'attacco provocò “centinaia di vittime civili” si sono dimostrate
false. La documentazione originale dell'esercito della Republika Srpska
(VRS) mostra che in quell’occasione vi furono 35 militari morti, 36
militari feriti e 11 vittime civili.
L’RDC ha inoltre rivelato che, in molti casi,
tra i sepolti nel cimitero militare a Bratunac, vi sono serbi morti
altrove in Bosnia e che, solo più tardi, vennero presentati come vittime
ammazzate dai difensori di Srebrenica.
Dopo gli Accordi di Dayton la periferia di
Sarajevo, controllata dall'esercito serbo-bosniaco, doveva essere
reintegrata nella città. Nel 1995 i leader della Republika Srpska
invitarono i serbi locali a lasciare Sarajevo e portare con sé i resti
dei propri morti. La grande maggioranza dei serbo-bosniaci seguì le
istruzioni. I resti dei loro morti vennero sepolti nel cimitero militare
di Bratunac, ma “archiviati” come se fossero stati uccisi dall'esercito
bosniaco a Kravice, o in altri villaggi attigui.
“Casualmente, la prima sulla lista dei serbi ammazzati qui, nel
Comune di Bratunac, è mia zia, morta - ma non uccisa - a Hadzici (un
sobborgo di Sarajevo)”, racconta il presidente della ONG dei rifugiati
da Sarajevo, “Ulisse”, Cedomir Glavas.
“I numeri sono un materiale superbo per la
manipolazione. Cento morti, per loro, non sono nulla. Contano solo le
cifre a tre zeri, così ragionano i politici”, puntualizza Glavas.
Anche un certo numero di cittadini stranieri
(paramilitari da Serbia, Montenegro e Croazia) che combatté dalla parte
serbo-bosniaca intorno a Srebrenica, venne sepolto nel cimitero militare
a Bratunac. Tra questi vi sono Vesna Krdzalic, Dragica Mastikosa,
Aleksandar Grahovac e Sreto Suzić. Due donne, Vesna Krdzalić e Dragica
Mastikosa, secondo la testimonianza dei sopravvissuti, parteciparono a
pestaggi, torture e uccisioni dei civili bosniaci nel villaggio di
Glogova e nel campo di tortura “Vuk Karadžić”. Ambedue perirono in
battaglia durante l’attacco al villaggio bosniaco di Sandići, il 29
maggio 1992. Oggi, al cimitero di Bratunac, si contano tra le “vittime
del terrore islamico”.
Anche alcuni civili serbo-bosniaci, morti in
seguito all'offensiva dell'esercito serbo-bosniaco in un villaggio
etnicamente misto situato vicino a Srebrenica, vengono spacciati per
vittime dei musulmani di Srebrenica: il 6 maggio 1992, le forze
serbo-bosniache attaccarono con artiglieria pesante e mortai il
villaggio di Bljeceva, dove la maggioranza era musulmana, ma vi vivevano
anche serbi. I mortai colpirono diverse abitazioni nel villaggio,
uccidendo 16 persone. Fra queste, due anziani civili serbi, Kosana Zekic
e Gojko Jovanovic. Oggi, anch’essi figurano tra le “vittime dei
terroristi musulmani”.
Paradosso Bratunac
Bratunac
non è stato scelto per caso come cimitero militare serbo. A soli 11
chilometri da lì vi è il Centro Memoriale di Potočari, dove sono sepolte
le vittime del genocidio e che, secondo la logica di politici e storici
serbi, va contestato.
Anche per un altro motivo la scelta del luogo
dimostra un certo cinismo. Prima della guerra, la maggioranza della
popolazione di Bratunac era musulmano-bosniaca. All’inizio del
conflitto, l’esercito serbo-bosniaco, insieme ai paramilitari della
Serbia e le forze dell’Armata Popolare Jugoslava (JNA), fece una
profonda pulizia etnica. L'intera popolazione musulmana di Bratunac, più
di venti mila persone, venne espulsa. I maschi musulmani vennero
radunati nel campo di calcio, separati da donne e bambini. Poi, molti di
loro, finirono torturati, maltrattati e trasportati nei campi di
concentramento e, almeno 612 persone caddero uccise.
La pulizia etnica riuscì così bene che,
l’allora ministro di Radovan Karadžić, Velibor Ostojić, annunciò
trionfando: “Ora possiamo colorare Bratunac di blu”. Lo stesso cimitero
militare di Bratunac è stato costruito su un terreno sottratto
illegalmente ad un musulmano di Bosnia che, prima della guerra, viveva
proprio a Bratunac. Per quanto successo ai musulmano-bosniaci di
Bratunac, l’ex presidente dei serbo-bosniaci, Radovan Karadžić, è stato
accusato di genocidio.
Anche la data della commemorazione delle
presunte vittime serbe in Bosnia orientale non ha alcun legame con i
fatti e la storia. Il caso del villaggio di Kravice, il più spesso
citato dai politici serbi come giustificazione del genocidio di
Srebrenica, avvenne il 7 gennaio 1993. Si consumò quindi sei mesi prima
del 12 luglio, la data che i serbo-bosniaci hanno scelto per ricordare i
propri morti.
I politici e gli storici serbi sanno benissimo
la verità su Srebrenica e su quanto precedette il genocidio. Ma sanno
che una bugia ripetuta cento volte, viene infine accettata come verità.
Per questo giocano tragicamente con i numeri.
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