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giovedì 27 dicembre 2012

Governo a pezzi, Bosnia nell’anarchia

l premier licenzia otto ministri che lo denunciano. Il Paese, sull’orlo della bancarotta, si ritrova ostaggio dei partiti etnici
 Leggi tutto da "IL Piccolo".

giovedì 26 luglio 2012

La marcia della Pace 2012


La colonna in marcia nei boschi intorno a Nežuk (Foto Michele Biava)
La colonna in marcia nei boschi intorno a Nežuk (Foto Michele Biava)

“Marš Mira” è un percorso della durata di tre giorni e della lunghezza di circa 110 chilometri, da Nežuk a Potočari, in Bosnia orientale, su un tracciato simile a quello intrapreso da migliaia di persone in fuga da Srebrenica l’11 luglio del ’95. Il resoconto di un partecipante all'edizione di quest'anno
Nel primo pomeriggio dell’11 luglio 1995 Srebrenica fu conquistata dall’esercito della Republika Srpska (VRS), da militari del Corpo di Užice (1) (Serbia), da formazioni paramilitari serbe (tra cui gli Scorpioni) e dalla polizia della RS. L’attacco alla città era parte del piano di conquista di tutte le enclave musulmane in Bosnia orientale, conosciuto come operazione “Krivaja 95” e aveva origine dalla “direttiva 7” emessa da Radovan Karadžić nel marzo 1995. L’ordine era di: “[...] realizzare una completa separazione fisica di Srebrenica da Žepa, dunque impedire anche la singola comunicazione tra queste enclave. Attraverso un'attività bellica quotidiana, pianificata e ragionata, creare condizioni di totale insicurezza, insostenibilità e impossibilità di ulteriore permanenza e sopravvivenza degli abitanti di Srebrenica...” Sul terreno le forze furono condotte da Radoslav Krstić, a capo del Drinski Korpus dell’esercito della Repubblica Srpska sotto il comando di Ratko Mladić, presente sul campo di battaglia al momento dell’attacco e della presa della città.
Il battaglione di caschi blu olandesi (Duchbat III) di stanza a Srebrenica, e la catena di comando delle Nazioni Unite, si rivelarono incapaci di difendere l’enclave, dichiarata “zona protetta” dal Consiglio di Sicurezza ONU con la risoluzione 819 del 16 aprile 1993. L’esercito della RS aveva iniziato l’attacco all’area di Srebrenica il 3 giugno 1995, guadagnando terreno e conquistando via via tutti i “punti d’osservazione” che l’UNPROFOR aveva sul territorio. Alcuni caschi blu erano stati fatti prigionieri. La richiesta di Supporto Aereo Ravvicinato, a protezione della base UN di Potočari e dell’enclave, fu inviata al Consiglio di Sicurezza solo il 10 luglio. Il bombardamento delle postazioni dell’esercito della RS fu interrotto prima che ottenesse una qualche efficacia.

La marcia per immagini 

marcia
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Raccontano i sopravvissuti che la tenuta dell’enclave, ormai coincidente con il centro abitato di Srebrenica, apparve da subito impossibile per l’insufficiente armamento e la carenza di munizioni in possesso della ventottesima divisione dell' esercito della Bosnia Erzegovina (Armija BiH) a difesa di Srebrenica. Si sapeva che nessun tipo di aiuto sarebbe arrivato da parte del governo e dei vertici militari di Sarajevo che, nel frattempo, avevano evacuato Naser Orić (comandante della ventottesima divisione) e altri ufficiali. Srebrenica era destinata a cadere.

La marcia verso Tuzla del 1995

Nel primo pomeriggio dell’11 luglio 1995, mentre migliaia di persone cercavano rifugio nella base ONU di Potočari, si stima che tra le 12 e le 15 mila persone, in maggioranza uomini in età di leva ma anche diverse donne e bambini, si raccolsero tra i villaggi di Sušnjari e Jaglići (a nord-ovest dell’enclave). Qui fu presa la decisione di tentare la fuga attraverso i boschi in direzione di Tuzla. Circa un terzo dei presenti aveva preso parte alla difesa della città. Stremati e male armati, si misero in testa alla colonna al fine di aprire un corridoio tra le linee nemiche attraverso cui far defluire i civili. Un conoscente mi raccontò: “Eravamo tantissimi e in pochi avevamo un’arma, pochissime le munizioni. Io avevo conservato una bomba a mano. Era per me, la tenevo agganciata alla cintura, pronto a farla detonare se mi avessero catturato. Come me molti altri. Eravamo disperati e avevamo paura. Nessuno voleva andare tra i primi perché eravamo sicuri che sarebbero morti. Alla fine partii anch’io in testa, fu la mia salvezza.”
La colonna si mosse da Srebrenica nella notte tra l’11 e il 12 luglio. I primi sopravvissuti alla marcia arrivarono a Nežuk il 16, dopo aver sfondato le linee della VRS a diverse riprese, nell’ultimo tratto grazie all’intervento di unità del secondo corpo dell'esercito della Bosnia Erzegovina giunte in aiuto da Tuzla. Il piano di aprire un corridoio sicuro per far defluire il resto dei profughi tuttavia non riuscì. L’esercito della RS attaccò le persone in fuga in diverse località facendo ampio uso di armamento pesante, organizzando imboscate e rastrellamenti. Diversi sopravvissuti raccontano di come la colonna fu bersagliata con gas velenosi che causarono allucinazioni e deliri. Nei rastrellamenti, la VRS impiegò anche mezzi e divise con insegne delle Nazioni Unite, sottratte ai caschi blu.
Nella sua testimonianza all’Aja, Dragan Obrenović, ricostruendo le operazioni di “pulizia del terreno”  ha raccontato: "Relazionai a Miletić sulle dimensioni della colonna e la sua posizione e suggerii di aprire le linee e lasciarla passare. Miletić non approvò e mi disse che dovevo usare tutti i mezzi militari a disposizione per femare e distruggere la colonna come avevo avuto ordine di fare. Il generale Miletić mi disse che la colonna andava distrutta." (2)
Non esiste un bilancio ufficiale di quante persone furono uccise mentre tentavano la fuga attraverso i boschi, perchè non si sa in quanti partirono. I sopravvissuti parlano di migliaia di morti. Catturati e uccisi, gettati in fosse comuni. Feriti durante i bombardamenti e non più in grado di proseguire, incappati in zone minate, morti di fame e di sete, suicidatisi per la disperazione. Di moltissimi ancora non si è trovata traccia, nè vivi, nè morti, sono da qualche parte nel bosco. I loro resti, forse, non saranno mai ritrovati.

Marš Mira 2012

Dalla prima edizione del 2005 ad oggi, migliaia di persone hanno percorso all’inverso il tragitto della “via della salvezza” del luglio 1995. Negli anni il tracciato della marcia è stato via via modificato per renderlo praticabile dalla maggior parte di coloro che vogliano parteciparvi. Resta un’esperienza intensa dal punto di vista fisico e psicologico, che richiede una certa preparazione ma innanzi tutto una forte motivazione. Quest’anno alle migliaia di partecipanti non è stato possibile garantire la distribuzione di cibo perciò ognuno si è organizzato autonomamente, numerose cisterne d’acqua potabile si sono alternate su tutta la lunghezza del percorso. Le forze armate della BiH hanno garantito l’allestimento e la sicurezza dei campi base, nonché il trasporto di uno zaino per ciascun partecipante. Per tutto il tragitto, squadre di medici e paramedici hanno seguito la colonna prestando primo soccorso alle decine di persone che ne hanno avuto bisogno.
E’ impossibile rendere un’idea calzante di ciò che la marcia rappresenti per ogni singolo partecipante a chi non vi abbia a sua volta preso parte. Al suo interno convivono per tre giorni e tre notti persone provenienti da ogni parte della BiH e dall’estero, migliaia di uomini e donne che si mettono in cammino per ricordare le vittime di Srebrenica e giungere in tempo per la cerimonia di sepoltura dell’11 luglio. Marciano insieme sopravvissuti all’esodo del ’95, parenti delle vittime, non di rado figli che ripercorrono gli ultimi passi dei loro padri; giovani e anziani, persone che al di fuori di questa esperienza ricoprono i più disparati ruoli all’interno della società. Per tre giorni ogni partecipante è un numero dentro una massa di cartellini di accredito, un numero e un volto di cui gli altri si prendono cura e che si prende cura degli altri, singolarmente o in un gruppo organizzato, fino all’arrivo a Potočari. Alla motivazione che accomuna tutti, la richiesta di verità e giustizia per le vittime, ognuno aggiunge la sua, personalissima, a volte raccontata ai compagni di cammino, a volte tenuta per sé. Quale che sia, evolve, si fa più matura, ogni volta che si passa in prossimità di una fossa comune, tutte le volte che lo sguardo incrocia quello di una donna, più giovane degli anni che la guerra le ha inciso sul volto, che, instancabilmente, offre acqua e caffè.
(1) v. Smail Čekić, "Agresija na Republiku BiH i genocida nad Bosnjacima" Università di Sarajevo, luglio 2011

martedì 24 luglio 2012

Nella quiete di Potočari, quelle lapidi inascoltate

Potočari, Srebrenica. Luoghi della memoria che interrogano l'Europa, obbligando a non distogliere lo sguardo. La visita al Memoriale durante un venerdì di preghiera: la quinta puntata del reportage di Michele Nardelli
Ho un ricordo nitido di quel luglio del 1995, quando i soldati di Ratko Mladić presero Srebrenica e, dopo aver separato donne e uomini, diedero vita al massacro di migliaia di bosgnacchi che in quella città avevano cercato la protezione delle Nazioni Unite.
Le notizie, in quel tempo, erano frammentarie, eppure viva era la percezione che qualcosa di terrificante stava accadendo in quella guerra senza fine. "Non dovevano esserci testimoni" raccontano le testimonianze raccolte dal Tribunale penale internazionale de L'Aja, tanto che per mesi il genocidio di Srebrenica venne negato, nonostante la denuncia dei famigliari delle vittime di cui si erano perse le tracce.

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primavera
A Trento, in Piazza Cesare Battisti, proprio in quei giorni organizzammo la Tenda per la Pace dedicata ad Alex Langer, un presidio permanente che proseguì per tutta l'estate allo scopo di tenere viva l'attenzione verso una guerra che si svolgeva nell'indifferenza generale nel cuore dell'Europa. Ricordo come fossero accese le discussioni se e come la comunità internazionale dovesse intervenire per mettere fine ai massacri.
Forse per capirne di più, forse per essere più vicini a questa tragedia, con Gabriella, Alberto e Cristiana decidemmo ai primi di agosto di fare rotta verso i Balcani e, aggirando i confini della guerra, andammo in Romania, alla scoperta di un paese alle prese con i fantasmi del vecchio regime deposto da un colpo di stato chiamato rivoluzione. Da lì seguimmo un'altra tragedia, quella dell'"Operazione tempesta" che l'esercito di Tudjman (con il sostegno logistico della Nato) portò alla conquista (e alla pulizia etnica) della Kraijna e della Slavonia, nonché all'esodo di duecentomila persone, questa volta di nazionalità serba. Finirono nei campi profughi della Republika Srpska e della Serbia e lì dimenticati per anni.
Ora siamo qui, a Srebrenica, nel memoriale di Potočari dove si ricordano le 8.372 vittime del primo genocidio in Europa dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. In questo luogo della memoria, che nulla concede alla retorica, si avverte una grande quiete. Quasi tutti i miei compagni di viaggio sono qui per la prima volta e il loro sguardo appare smarrito di fronte a questo mare di lapidi bianche. Sono tutte uguali, cambia solo il nome a cui sono riconducibili quei poveri resti ritrovati dopo anni nelle fosse comuni, e la data di nascita. Nella loro uniformità e nell'allineamento perfetto, raccontano la comunità di destino delle tante vite, ciascuna diversa dall'altra, che in quel luglio vennero spezzate dalla ferocia dei miliziani serbi e dall'ipocrisia di una comunità internazionale che mise a protezione di migliaia di profughi centocinquanta ragazzotti olandesi che, nelle rare immagini di quei giorni, sembravano delle comparse imbarazzate, impaurite e talvolta conniventi, come quando brindavano a rakija con i responsabili della mattanza.
E' venerdì, giorno di preghiera per i musulmani. Nella moschea senza pareti del memoriale, donne e uomini prevalentemente anziani ricordano i loro cari, mentre la cittadina di Srebrenica cerca di ritornare, almeno nell'esteriorità degli edifici, ad una improbabile normalità. Perché dall'incubo si uscirà solo quando le persone sapranno raccontare una sola narrazione. Mentre invece quel che avviene, qui più che altrove, è il rinchiudersi in un dolore ancora non riconosciuto dall'altro.
Siamo a Srebrenica e sappiamo come sono andate le cose, chi sono le vittime e chi sono i carnefici. L'elaborazione del conflitto non è un generico appello alla riconciliazione, né tanto meno all'oblio. Ma su questo lavoro chi ha saputo investire?
Chi allora ha rivolto il proprio sguardo altrove, chi non ha compreso che nella guerra degli anni '90 in gioco era l'Europa, chi non ha ancora capito che l'Europa si fa o si disfa nei Balcani… Per costoro lo straordinario lavoro che la comunità trentina ha messo in campo verso l'Europa di mezzo (e che ci viene riconosciuto a livello internazionale) sembra un'inutile spreco di denaro. Sono le stesse persone che nella loro ignoranza non hanno ancora capito che siamo nell'interdipendenza, che la finanza criminale si nutre di deregolazione e che questa è fatta di guerre, pulizie etniche, traffici di ogni tipo, riciclaggio, ma anche di delocalizzazione di imprese laddove il costo del lavoro non vale niente o dove non ci sono tutele ambientali. Il problema è che questa ignoranza è diffusa e trasversale, investe i singoli ma anche i corpi intermedi e la politica.
Mentre attraversiamo la Drina, il grande fiume che segna il confine fra Bosnia Erzegovina e Serbia, il poliziotto di frontiera serbo mi chiede dove stiamo andando. Gli rispondo che andiamo a Studenica, nell'antico monastero ortodosso. Inorgoglito che degli italiani visitino quel luogo sacro per la loro identità culturale e, ahimè, nazionale ci restituisce subito i documenti. E' questa l'Europa che verrà? Quello che accadde a Srebrenica e più in generale nella guerra degli anni '90 ci riguardava allora e ci riguarda oggi. Purtroppo non lo abbiamo ancora compreso.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso

lunedì 23 luglio 2012

Alla ricerca di una primavera balcanica

Il fascino di Sarajevo non lascia scampo. Ma la città che ha resistito all'assedio grazie all'amore dei suoi abitanti sta cambiando, e non in meglio. La quarta puntata del reportage di Michele Nardelli
Qualcuno dei miei compagni di viaggio mi chiede perché la grande maggioranza dei cittadini di Sarajevo decise di restare nonostante l'assedio, le granate che piovevano sugli edifici e sulle vie, i cecchini carichi di eroina che si divertivano a giocare con la vita della gente, la mancanza di cibo e di elettricità, i freddi inverni senza la possibilità di riscaldarsi...
Credo che le ragioni siano molteplici. Intanto perché nessuno si sarebbe mai immaginato che una capitale europea potesse essere assediata per quasi quattro anni, perché nessuno riteneva possibile una guerra in Bosnia e tanto meno a Sarajevo, nemmeno quando già si sparava per le strade della città, e infine perché, dopo che la guerra era diventata realtà, pensavano che si sarebbe risolta nel giro di qualche settimana.
A guerra in corso, poi, non era così semplice andarsene. Rimanere era altresì un punto d'orgoglio, per difendere la città dagli assedianti, per non lasciare i propri cari, per non darla vinta ai nemici della città, o anche semplicemente per non lasciare tutto per ritrovarsi in un'anonima periferia del mondo a chiedere l'aiuto peloso di chicchessia.
C'è anche, e forse sopratutto, un'altra ragione: perché gli abitanti di Sarajevo amano la loro città. Se questo, certo, può essere vero per ogni città, lo è un po' di più per la "Gerusalemme dei Balcani". E' sufficiente ascoltare le parole di Kanita, per comprendere quale effetto profondo provi verso la sua città che pure le ha riservato un destino non sempre facile. Come quando, all'inizio della guerra, la scheggia di una granata venne a farle visita in casa portandole via il compagno della sua vita.
Agli occhi di chi già ha imparato a conoscerla, come per chi è qui per la prima volta, il fascino di Sarajevo non lascia scampo. Eppure è cambiata e sta cambiando, purtroppo non in meglio. La città che ha saputo resistere per millequattrocento giorni ai bombardamenti e ai cecchini, oggi ha paura. Quel che segna la città è l'onda lunga della guerra, ovvero della criminalità organizzata, della piccola malavita, ma anche dell'imbarbarimento delle relazioni fra le persone. Di una povertà crescente a fronte della ricchezza dei luoghi, degli anziani che non hanno di che vivere, stridente con il lusso di chi è arricchito nella guerra come nel dopoguerra.
Di questa stessa fatica del vivere a Sarajevo mi parlava qualche mese fa Eugenio, dopo aver fatto l'esperienza di qualche mese proprio nella capitale bosniaca per le attività di "Viaggiare i Balcani". Quasi ci fosse una grande distanza fra la città pubblica degli eventi importanti e una quotidianità all'insegna del "si salvi chi può".

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primavera
I segni della guerra sono pressoché scomparsi, ma questo non significa che le ferite si siano rimarginate. La guerra è dentro ciascuno, il conflitto non elaborato s'intreccia con l'assenza di futuro. Sensazione che avvertiamo anche noi, nelle poche ore che trascorriamo in questa bella città nel cuore di un'Europa che non l'ha saputa comprendere e che continua a tenerla lontana. Proliferano le banche, i centri commerciali, i grandi palazzi di vetro... lo scheletro del nuovo hotel Hilton incombe proprio in prossimità della città asburgica. E' l'omologazione della modernità, mentre le piccole cose di qualità vengono soffocate dalla ricerca del business. L'omologazione degli affari accomuna le diverse entità e l'orizzonte di una sfera politica che per mantenere il consenso ha bisogno di spiegare la povertà, la burocrazia, il malaffare con le lenti del nazionalismo, riversando le responsabilità sull'altro, come già in guerra un comodo nemico.
Ecco perché il lavoro di elaborazione del conflitto è ineludibile. Dovrebbero capirlo la cooperazione internazionale, le Ong e la cosiddetta società civile, ma questo non avviene. Più semplice lavorare sugli aiuti, non servono granché ma l'effetto sgocciolamento tiene in vita una parte dell'economia informale. Qui, come altrove, occorre un cambio di pensiero.
Mi vengono in mente le donne che sono venute a Trento nei giorni scorsi a parlare della “primavera araba”. E di una paura che hanno saputo vincere. Ponevano, quale condizione per tenere viva la primavera, esattamente lo stesso problema. Che ci sia bisogno di una primavera balcanica?

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso

giovedì 19 luglio 2012

Il disincanto di Selma

Attraverso gli altipiani dell'Erzegovina fino a raggiungere Mostar. I paesaggi, i sapori, i simboli di una terra frequentata da migliaia di pellegrini di Medjugorije, ignari di Blagaj e della sua tekija. La terza puntata del reportage di Michele Nardelli
Dopo Goli Otok e Martin Brod, arriviamo nell'Erzegovina. Lungo il tragitto attraversiamo paesaggi meravigliosi che non conoscevo, altipiani, pascoli, boschi, ancora profondamente segnati dalla guerra nonostante siano passati diciassette anni. Come se il tempo si fosse fermato, consapevoli che la ricostruzione presuppone un ritorno sempre difficile, a volte impossibile. Senza il fervore di una comunità, si possono anche ricostruire le case ma poi rimangono vuote di un nuovo abbandono. Spesso i proprietari sono morti nella guerra. A volte mancano i denari per intentare una causa legale quale passaggio obbligato per ritornare in possesso delle abitazioni e terre che, non dimentichiamolo, facevano parte del bottino.
Questo è l'esito. La sensazione di un conflitto sospeso emerge dalle parole di Selma, che pure ha scelto di tornare ma che s'interroga se questa terra sarà la stessa che vedrà crescere suo figlio. Selma è appassionata del lavoro di antropologa, impegnata nella valorizzazione dei prodotti dell'Erzegovina. Non ci siamo mai incontrati prima, anche se le nostre attività si sono spesso incrociate, fra turismo responsabile, progetti agricoli e cooperazione internazionale.
Siamo a Mostar, nello spazio aperto a due passi dal "Vecchio" per promuovere i sapori dell'Erzegovina, dove ci propongono una degustazione del famoso formaggio nel sacco, di bevande al sambuco e alla salvia, di vini bianchi come la Žilavka. Ma il momento di parola che Selma ci dedica è tutto rivolto alla preoccupazione per il suo paese che non sa uscire dal proprio incubo. E dove la soluzione che inesorabilmente sembra prevalere è la divisione, ovvero la fine della Bosnia Erzegovina.

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primavera
Migliaia di pellegrini reduci da Medjugorije (il luogo di culto mariano più frequentato d'Europa, nonostante il Vaticano non l'abbia mai riconosciuto) affollano quelle strade di pietra e quel ponte che i nazionalisti croati hanno martellato fino a farne un cumulo di macerie, come avvenne in quel novembre del 1993 quando il ponte che a quella città dava il nome cadde a pezzi nelle acque gelide della Neretva. Erano simboli di una storia che gli amici di padre Zovko (il capo spirituale di Medjugorije) volevano cancellare. Mi chiedo cosa si porteranno via in termini di sapere queste persone che seguono il loro sacerdote o la guida con la bandierina di riconoscimento. Quale narrazione verrà proposta a questi pellegrini sulla distruzione di quel ponte così come di Počitelj, una perla dell'architettura ottomana a pochi chilometri da Mostar?
Quelle persone non sapranno mai nemmeno dell'esistenza di Blagaj e della sua tekija, il luogo dove nel 1463 venne emesso l'editto con il quale Mehemet II accreditava i francescani bosniaci dei suoi favori e della totale libertà di culto. Considerata la prima carta dei diritti umani, assume una particolare importanza storica perché siglata 29 anni prima di un altro editto, quello con il quale nel 1492 vennero cacciati i musulmani e gli ebrei da Sefarad, come quest'ultimi chiamavano la Spagna. Né dei Bogomili e di quel che rimane della loro eresia cristiana nei dintorni di Stolac, senza la cui conoscenza è difficile comprendere l'islam endogeno di queste terre.
Stranamente per questa stagione non fa troppo caldo. Cenare in una delle kafane sulla Neretva a due passi dal ponte è una delle cose più belle che vi possa capitare. Laura e Edoardo, nostri compagni di viaggio che sono a Mostar per la prima volta, catturano immagini con lo stupore di chi si rammarica per non aver conosciuto prima questi luoghi di straordinaria bellezza. E che potrebbero vivere della loro unicità.
Ha ragione, Selma, ad essere preoccupata. Né la politica locale, né la comunità internazionale, sanno trovare strade nuove per dare risposte alle contraddizioni che gli anni '90 (e il dopoguerra) hanno lasciato dietro di sé. Quel che potrebbe fare la differenza per questa terra sono persone come lei.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso

mercoledì 18 luglio 2012

Maja e il diritto di sognare

La notte a Martin Brod, conversando con Maja, giovane donna che lavora ad un progetto di valorizzazione del territorio e di turismo responsabile nel Cantone Una - Sana, in Bosnia Erzegovina. Seconda puntata del reportage di Michele Nardelli
Maja ora è una giovane donna. Ma quando i suoi genitori la caricarono su un pullman polveroso, come lo sono i pullman di ogni esodo, estremo atto di amore per proteggerla dall'inferno, aveva appena undici anni. Finì nel fiume dei profughi. Come destinazione, un paese sconosciuto "e una lingua da imparare in fretta", dall'altra parte del mare.
La guerra le ha portato via molte cose, il diritto all'adolescenza fra l'altro. Non la speranza. Così qualche anno fa ha deciso di rientrare in Bosnia Erzegovina per prendersi cura del suo paese. Nell'ascoltare Maja, questa volontà di non darla per vinta viene fuori con tutta la forza che possiede. Si arrabbia quando, nella nostra conversazione, provo a dire che hanno vinto loro, i signori della guerra e degli affari. Non vuole proprio sentirle, Maja, queste parole. Forse perché teme, in cuor suo, che possa effettivamente essere così.
Dice che no, che questa è una visione della nostra generazione, che i giovani non ne vogliono più sapere di quel mondo adulto che ha tolto loro l'innocenza, il gioco e gli affetti. Parole che mi fanno venire in mente il "vaffanculo" dei giovani di Gaza. Prima ancora che iniziasse la primavera araba, a fronte di una guerra infinita per un confine tanto angusto quanto anacronistico, scrivevano nel loro manifesto, semplicemente, "... vogliamo vivere".
Le sue parole mi scuotono, come se il mio disincanto rappresentasse un atto di ostilità verso la sua generazione. Come possiamo permetterci di negarle anche il diritto di immaginare un futuro diverso, dopo che la nostra generazione le ha negato il diritto alla spensieratezza?
Le nostre vecchie e malandate utopie ci hanno fatto sognare, prima che quei sogni s'infrangessero di fronte a tante sconfitte. "Avremmo dovuto capirlo subito che quelle bandiere erano rosse di sangue fratello..." scrive Magris attorno al sogno che diventa incubo. E allora, perché non ripartire da qui? Perché non elaborare questa storia e non indagare strade nuove?
Maja lavora ad un progetto di valorizzazione del territorio e di turismo responsabile nel Cantone Una - Sana, dando continuità ideale al lavoro che iniziammo una dozzina di anni fa, proprio qui a Martin Brod, non lontano da Bihać, attorno ad una diversa proposta turistica che sapesse cogliere ed apprezzare le caratteristiche del territorio.
Perché Martin Brod era allora, e continua ad essere, un luogo speciale. Si fatica a trovarlo persino sulla carta geografica, non è certo meta dei circuiti turistici tradizionali, ma "il villaggio dei cento mulini" non lascia mai indifferenti i suoi visitatori, come se l'incantesimo di Marta, "la signora del fiume" stando alla leggenda, ancora colpisse nel segno. E infatti si dice che la sua immagine riaffiori nell'acqua che circonda ogni casa, nei mille ruscelli che un tempo muovevano le macine dei mulini, nelle vasche naturali di travertino che nei secoli si sono formate in uno scenario di grande fascino.
La difficoltà nel trovare nella piccola comunità di Martin Brod (qui d'inverno abitano meno di cento persone) un referente in grado di dare continuità al nostro lavoro, la fatica di dare sostenibilità e continuità ai progetti anche in Trentino, specie se non sempre le istituzioni sanno cogliere che l'Europa si costruisce solo investendoci, la fatica del volontariato... hanno contribuito a rendere i rapporti con questo luogo più rarefatti. Ma certamente alla costruzione del Parco nazionale della Una, che ha messo in protezione questo territorio da ipotesi speculative (vi si voleva realizzare una grande diga che avrebbe fatto svanire l'incantesimo), abbiamo dato anche noi come comunità trentina un piccolo contributo.

Vai al reportage 

primavera
Così Martin Brod è diventato un punto fermo negli itinerari naturalistici del turismo responsabile in Bosnia Erzegovina e pure nelle attività di "Viaggiare i Balcani". Oggi Maja e il suo lavoro sono un riferimento, anche per le famiglie di qui che in questo modo possono integrare il loro reddito fornendo ospitalità al viaggiatore che ne sa apprezzare l'offerta. Qui non troverete mai le colazioni di plastica degli alberghi ma piuttosto le cose vere e buone che vengono dalla natura e dalla cultura contadina. Alloggiamo infatti nelle famiglie, ognuna con una storia diversa da raccontare, chi non se ne è mai andato, chi dopo anni di diaspora ha deciso di rientrare, chi vive in California ed è qui per l'estate.
Passare la notte a Martin Brod, è come immergersi nel fiume degli smeraldi, il cui scorrere accompagna il tuo sonno.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso

martedì 10 luglio 2012

Il Sarajevo Film Festival diventa maggiorenne

Un blitz di Angelina Jolie, regista di “In the Land of Blood and Honey”,  e l’attesa anteprima di “Djeca – Buon anno, Sarajevo” di Aida Begić. È iniziato all’insegna delle donne il 18° Sarajevo Film Festival
La manifestazione che si è affermata come il più importante evento internazionale della capitale bosniaca, indispensabile punto di riferimento per chi fa, vuole fare o vuole vedere cinema nell’area sud-est europea, ha compiuto la maggiore età. Meno sostegno da parte della città, in termini di spazi e finanziamenti, non hanno condizionato un programma sempre ricco e articolato su molte sezioni. Il festival è stato aperto da “Djeca”, secondo film della Begić, menzione speciale a Cannes (Un certain regard) e una settimana fa dominatore alla Mostra del nuovo cinema di Pesaro: miglior film, premio della giuria giovani e di “cinema e diritti umani”. La pellicola arriverà nelle sale italiane a fine anno.
La Jolie ha mantenuto la promessa di tornare a Sarajevo e ha confermato il legame speciale che ha stabilito con la Bosnia anche con il suo film da regista “In the Land of Blood and Honey” (che non ha ancora una distribuzione italiana). L’attrice è intervenuta all’inaugurazione del Talent Campus, l’iniziativa che riunisce i giovani talenti da tutti i Balcani.

Klip - Clip

La serba Maja Miloš, già vincitrice a Rotterdam, ha presentato nella sezione “In Focus” la sua opera prima: "Klip - Clip". Un moderno melodramma adolescenziale a colpi di cellulare. Protagonista Jasna, una ragazza di periferia che filma tutto con il suo telefono. Le amiche, la famiglia, la scuola (studia per diventare maestra d’asilo). Ma soprattutto sesso, cocaina e alcol. La storia di provocazioni e trasgressioni con Djordje, di pochi anni più grande, fatta di incontri nei bagni o alle feste, e di un bacio che arriva quando tutto il resto è già stato fatto. Ci sono anche la malattia del padre, l’irruzione notturna nella scuola (distruzione compresa) e tutto quello che non si dovrebbe fare ma che si vuol provare. Ci sono brevi scene esplicite ma il tono non è per niente morboso, in fondo il film ha una sua tenerezza e un sorprendente lieto fine. La Miloš sta lontana dalle tentazioni sociologiche, cambia più volte la piega della storia, filma molto da vicino (usando anche le riprese con i telefonini) e utilizzando il punto di vista dei ragazzi, valorizza l’interpretazione della giovanissima Isidora Simijonović. Una ricerca di senso, di crescita e di amore che passa anche per il vuoto o per comportamenti discutibili. Non è un caso che uno dei bambini della materna visitata dalla protagonista si chiami Romeo, che sia dispettoso e dolce insieme. Un debutto consapevole e carico di energia, prodotto dalla belgradese Bascelik di Srdan Golubović.
In Focus ha presentato anche il sopravvalutato “Alps – Alpeis” del greco Yorgos Lathimos, premiato a Venezia lo scorso anno, e “Hungary 2011”, prodotto dal grande Bela Tarr (ospite del festival). Un film a episodi che ha coinvolto i maggiori cineasti magiari, una dichiarazione di politica e poetica contro il governo Orban che dal 2010 sta “cercando di cambiare la cultura ungherese” come ha denunciato il cineasta. Al progetto hanno partecipato tra gli altri Agnes Kocsis, Georgi Palfi e Bence Fliegauf e i grandi Marta Meszaros e Miklos Jancso. Quest’ultimo filma un test video in una fabbrica abbandonata con una ballerina che, al termine di un carrello avanti mozzafiato chiede al regista “giriamo qui?”. “No, qui gridiamo” risponde Jancso. Ed è il grido che il cinema ungherese, una storia gloriosa e un presente difficile di ottimi talenti e sempre più difficoltà a realizzare film, cerca di far sentire.

Il programma dell'edizione 2012

Per la prima volta nella sua storia, cominciata circa un mese dopo il massacro di Srebrenica, il Sarajevo Film Festival (www.sff.ba)  ha tra le sue date l’11 luglio. Così, nel giorno in cui la Bosnia ricorda il più grande masacro in Europa dopo la Seconda Guerra mondiale, l’Sff ha preparato una giornata speciale, con programma ridotto e rigorosamente a tema. Niente film in concorso mercoledì e niente tappeti rossi (ormai un must, a Sarajevo ancor più che in altri festival). Per “In Focus” sarà presentato “Just the Wind” dell’ungherese Bence Fliegauf, già Orso d’argento a Berlino (l’Orso d’oro “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani è in calendario venerdì sera nell’arena all’aperto), storia di discriminazioni contro i rom. L’arena aperto !Hej ospiterà il breve “Day on Drina” di Ines Tanović (la giornata di un gruppo di persone che cercano resti di persone scomparse durante la guerra nell’alveo del fiume) e “Football Rebels” di Gilles Rof e Gilles Perz su calciatori fuori dagli schemi, talentuosi sul campo e impegnati nel sociale, da Socrates a Didier Drogba a Eric Cantona, che sarà a Sarajevo. Nell’arena Vatrogasac sarà programmato il bel “Land of Oblivion” di Michale Boganim sul disastro nucleare di Chernobyl.
In concorso in questa settimana ci saranno l’austriaco “Crossing Boundaries – Grenzgänger” di Florian Flicker, i turchi “Present Tense - Simdiki Zaman” di Belmin Söylemez, “Voice Of My Father - Babamin Sesi” di Orhan Eskiköy e Zeynel Doğan e “Beyond The Hill - Tepenin Ardi” di Emin Alper, il serbo “Redemption Street - Ustanička Ulica” di Miroslav Terzić (con Uliks Fehmiu e Rade Šerbedžija) e il romeno “Everybody in Our Family - Toată lumea din familia noastră” di Radu Jude.
Importante il concorso documentari, con oltre venti titoli molto interessanti da tutta l’area, il festival del cinema bosniaco che presenta tra gli altri “Belvedere” di Ahmet Imamović e “Mirza Delibasić – Legenda” sull’ex campione di basket. Ancora la Palma d’oro di Cannes “Amour” dell’austriaco Michael Haneke, “Beyond the Hills” del romeno Cristian Mungiu (due premi a Cannes per sceneggiatura e attrici) e “Paradise: Love” di Ulrich Seidl.
Nell’Arena martedì ci sarà il successo francese “Quasi amici” di Olivier Nakache ed Eric Toledano, giovedì “I, Anna” di Barnaby Southcombe con Charlotte Rampling di nuovo in Bosnia, sabato il divertente “The Angel’s Share” di Ken Loach, premio della giuria a Cannes.
Ospite a Sarajevo è anche Todd Solondz, uno dei cineasti americani più importanti, cui è dedicata una retrospettiva omaggio con “Happiness”, “Life During Wartime”, “Welcome to the Dollhouse”, “Palindromes”, “Storytelling”, “Dark Horse” e alcuni cortometraggi.



Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso

lunedì 9 luglio 2012

Triste Srebrenica

L'11 luglio e la nuova battaglia per Srebrenica, all'ombra degli sviluppi del processo a Radovan Karadžić. Un nostro commento
Mercoledì prossimo a Potočari, nel Memoriale che sorge di fronte all'ex comando dei caschi blu di Srebrenica, verrà ricordato il diciassettesimo anniversario della morte di oltre 8.000 bosniaco musulmani, uccisi nel luglio 1995 dalle forze serbo bosniache.
Quella strage fu un genocidio, secondo quanto stabilito da diverse istanze giuridiche internazionali (Tribunale Penale dell'Aja per la ex Jugoslavia; Corte Internazionale di Giustizia) e locali (Corte di Bosnia Erzegovina
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martedì 3 luglio 2012

Abdulah Sidran, l'anima di Sarajevo

Sarajevo, 20 anni dopo l'assedio. Colloquio con il celebre poeta, sceneggiatore e drammaturgo bosniaco sulla città che per secoli in Europa ha rappresentato l'incontro di fedi, nazioni, culture
Quest'anno Sarajevo ricorda il ventennale dall'inizio dell'assedio. Che tipo di città commemora questo anniversario?

martedì 26 giugno 2012

ATTENZIONE :data spostata dal 28 Giugno al 12 LUGLIO

Ciao a tutti
ATTENZIONE : lo spettacolo (vedi allegato) del 28 giugno causa forza maggiore (LA PARTITA DELL’ ITALIA) è stato rinviato a


GIOVEDI 12 LUGLIO
Stesso luogo, stessa ora

Per cortesia fate girare

venerdì 22 giugno 2012

The Bosnian Identity


Un viaggio nella memoria della Bosnia Erzegovina. Dove sofferenze, speranze e humor nero delineano i tratti di una comune identità bosniaca, nata o forse solo sopravvissuta tra le ceneri dell’ Ex- Jugoslavia. Un documentario di Matteo Bastianelli. Il trailer

Il comando supremo della guerra in Bosnia

Il ruolo della cinematografia partigiana nella Jugoslavia socialista, il destino di due dei suoi esponenti più noti: Bata Živojinović e Hajrudin Šiba Krvavac, rispettivamente protagonista e regista della pellicola jugoslava più nota nel mondo, “Valter difende Sarajevo”

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giovedì 21 giugno 2012

Bosnia: Srebrenica, 142 anni a 4 ex militari serbi

 Quattro militari dell'esercito serbo-bosniaco sono stati condannati oggi, in primo grado, dai giudici di Sarajevo complessivamente a 142 anni di reclusione per "crimini contro l'umanità. perpetrati a Srebrenica nel luglio del 1995, quando in pochi giorni furono massacrati oltre ottomila musulmani di quella cittadina, per lo più uomini e ragazzi.
 

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Da Venezia a Tuzla, il viaggio della memoria



Da Venezia a Tuzla, il viaggio della memoria: Un viaggio della memoria, un'occasione di formazione e condivione nel cuore della Bosnia. Lo propone da fine agosto a inizio ...

mercoledì 20 giugno 2012

Balcani, una storia di violenza?

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso

Il saggio di Stefano Petrungaro decostruisce con un linguaggio accattivante uno dei principali stereotipi che connotano ancor oggi i Balcani: quello della loro violenza. Permettendo di capirli per quello che sono
Esattamente venti anni fa la disintegrazione della Jugoslavia socialista, la “seconda” Jugoslavia, specie nei suoi eventi bosniaci, attirò l’attenzione del mondo e dei mass media su quell’angolo dei Balcani. Un angolo, ammettiamolo, pure da noi vicini italiani assai poco conosciuto. O conosciuto nelle memorie dell’esodo o nella sua dimensione vacanziero-turistica e poco altro.
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martedì 19 giugno 2012

PIOVE DI SACCO - LA TRANSUMANZA DELLA PACE


: mucche e trattori per dare speranza ai contadini di Srebrenica. Venerdì 22 giugno, alle ore 20.30, presso la Festa di Legambiente di Piove di Sacco (quartiere Sant’Anna), Gianni Rigoni Stern e l’attrice Roberta Biagiarelli propongono il road movie che racconta il progetto nato per ridare speranza alle famiglie di Srebrenica scampate al massacro del 1995. L’amore per la terra è diventato simbolo e strumento per dare corpo a un percorso di pace che procede tra mille difficoltà. Aiutare a ricostruire la coltivazione e l’allevamento : questo è stato l’obiettivo di due persone che hanno fatto della Bosnia il centro del loro impegno umanitario; Gianni, che ha trovato tante somiglianze tra le colline di Srebrenica e l’altopiano di Asiago, Roberta che da anni lavora in quelle zone con progetti di aggregazione e di animazione culturale. Il progetto, partito nel 2009, grazie al contributo della Provincia di Trento, si è già materializzato con la donazione di 48 mucche della Val Rendena: “quelle che più di altre razze corrispondono alle mucche che prima della guerra si allevavano da quelle parti” – precisa Gianni. Poi, con l’aiuto di altri donatori, sono arrivati anche due trattori. Ma l’esperienza non è conclusa, ci sono altri progetti in vista. All’incontro, organizzato dal Circolo di Legambiente di Piove di Sacco, in collaborazione con A.V.I.P. Onlus (Associazione di Volontari per Iniziative di Pace), oltre a Rigoni Stern e Biagiarelli, parteciperanno anche Giulio Cozzi docente di zootecnia dell’Università di Padova, e Fabio Dessì della redazione del mensile La Nuova Ecologia.

mercoledì 13 giugno 2012

La strada del ritorno

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso

Il reportage di Osservatorio sulla Bosnia Erzegovina a 20 anni dall'inizio della guerra. I dati sui ritorni di rifugiati e sfollati, il nuovo quadro demografico del Paese, le conseguenze della pulizia etnica
Per approfondimenti
Dossier Bosnia, vent'anni dopo
Pagina Paese Bosnia Erzegovina




venerdì 8 giugno 2012

Yugoland, in viaggio per i Balcani

Jugosfera e Jugonostalgia

 

Prefazione di Luka Zanoni
Ho due grandi deformazioni professionali. Parlo spesso - forse troppo - di Balcani e sono un appassionato di tecnologie e strumenti della comunicazione. Per questo la prima reazione che ho avuto alla lettura in anteprima di questo libro è stato un cinguettio twitteriano....
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martedì 5 giugno 2012

Come dice Andrea Baudino "chi ben comincia"

"Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso"


Tomislav Nikolić non parla croato 

Vukovar una città serba. Srebrenica? Mai esistita. Alcune dichiarazioni del neo presidente serbo Tomislav Nikolić fanno traballare seriamente le relazioni regionali. In particolare con la Croazia. Ed è per questo che il presidente croato Josipović non sarà presente all’inaugurazione ufficiale del neo eletto presidente serbo. Leggi tutto...

Da Banja Luka una rinascita della società civile.

Una delle prime cose che sorprendono, arrivando a Banja Luka, la capitale dell'entità serba di Bosnia

venerdì 1 giugno 2012

Roberta Biagiarelli su RAI3 per AGENDA del MONDO

Gentili tutti,
vi comunico che domani 2 giugno h.0.30 su Rai TRE circa dopo il TG3 della notte 
per la trasmissione "AGENDA de MONDO" andrà in onda uno speciale
(a cura di Santo della Volpe)  sulle vacche e i trattori portati a Srebrenica.
Dove si vedono i trattori arare i campi bosniaci...
Grazie a tutti voi e al sostegno concreto che ci avete dato a nome mio e di Gianni Rigoni.
Nei giorni successivi troverete il reportage sul sito : www.tg3.rai.it
Cari saluti, a presto.
Roberta Biagiarelli

giovedì 31 maggio 2012

Critiche al censimento in BiH

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso


Manca ancora un anno al tanto atteso censimento in Bosnia Erzegovina ma le polemiche sono già iniziate.
La Bosnia Erzegovina è l’unico Paese dell’intera regione balcanica che ancora non sa quanti siano i suoi abitanti. L’ultimo censimento tenutosi in BiH risale infatti al 1991. E c’è grande attesa per quello del 2013 dal quale uscirà un quadro della popolazione ben diverso da quello precedente la guerra.
Nazionalità, religione, lingua, rischiano però di essere strumenti di controllo e discriminazione. E le Ong bosniache si sono già attivate per denunciare evidenti elementi di discriminazione contenuti nel formulario e nella procedura di svolgimento del censimento.
In particolare le critiche sono rivolte alle domande 23, 24 e 25 in cui viene chiesto di indicare l’appartenenza etnico/nazionale, quella religiosa e infine la lingua materna. Se alle prime due si può anche non rispondere (o meglio si deve rispondere dichiarando di non volersi esprimere) a quella sulla lingua materna la risposta è d’obbligo, senza possibilità di indicarne più d'una. Parli bosniaco, croato, serbo o altro?
Fonti: www.radiosarajevo.ba

mercoledì 30 maggio 2012

Invito


Ricevo da Azra questa informazione importante
Saluti Mario


Vi invito a unirsi ad appello di solidarietà globale con le vittime di crimini di massa nella città bosniaca Prijedor, nel 1992. L'associazione delle vittime ci invita di mettere - il prossimo 31 maggio - un nastro bianco come il segno di supporto. Nel 1992, a Prijedor le autorità serbe avevano ordinato ai non-serbi di segnalare le loro case con le bandiere bianche, e quando lasciavano la casa di mettere il nastro bianco sulle maniche. Questo fu l'inizio di una campagna di persecuzione, seguita da esecuzioni di massa, campi di concentramento, stupri e altri reati.  A Prijedor sono statti uccisi 3173 civili, tra cui 102 bambini e 256 donne. Ai campi di concentramento Keraterm, Omarska e Trnopolje furono chiuse o arrestate 31.000 persone. In fine 53.000 i non serbi sono catturati, umiliati ed espulsi. Tutto bene religioso, culturale ed economico di bosniaci e croati nel comune di Prijedor è stato e distrutto. Oggi il sindaco Marko Pavic, e le autorità serbe di Prijedor, hanno esplicitamente vietato alle vittime della campagna di sterminio commemorare la sofferenza in qualsiasi spazio pubblico della città. La società "Acelor Mittal" che ora possiede il sito su cui c'era il famigerato campo di Omarska, non consente ai sopravvissuti di rendere omaggio né di erigere il monumento alle vittime che sono state uccise o chiuse nel campo di concentramento.


I invite you to join a global appeal for solidarity with the victims of mass crimes in the Bosnian town of Prijedor in 1992. The association of the victims invites us to put - on 31 May - a white ribbon as a sign of support. In 1992, the Serb authorities in Prijedor had been ordered to non-Serbs to mark their homes with white flag, and when leaving the house to put the white ribbon on the sleeves. This was the beginning of a campaign of persecution, followed by mass executions, concentration camps, rapes and other crimes. In Prijedor during the war 3173 civilians was killed, including 102 children and 256 women. In concentration camps Keraterm, Omarska and Trnopolje were closed 31,000 people. In the end some 53,000 non-Serbs were captured, humiliated and expelled. All religious, cultural and economic goods of Bosnian Muslim and Croats in the Prijedor municipality were destroyed. Today the Mayor of Prijedor Marko Pavic, and the local Serbs authorities, have explicitly prohibited to the victims of the extermination campaign, to commemorate in any public area of the city. The company "Arcelor Mittal" which now owns the site, on which there was the notorious Omarska concentration camp, does not allow to survivors to honor nor to erect the monument to the victims who were killed or confined in concentration camps.




--
Mario Fiorin


venerdì 25 maggio 2012

NON prendete Paura siamo sempre Noi AVIP onlus

Per un problema Tacnico la Visualizzazione del Blog è cambiata.
Vedrò di ripristinarla prima Possibile.
Ciao Michele

28/05/2012 Ora Mi sembra a posto.
Ciao A tutti
Michele

Bosnia Erzegovina: disabilità ed esclusione sociale

Pochi servizi e distribuiti in modo disomogeneo. La situazione dei disabili in Bosnia Erzegovina è molto difficile. E i pochi progetti esistenti dipendono ancora molto dai donatori internazionali. Un'intervista a Suad Zahirović, operatore nel campo della disabilità.
LEGGI TUTTO.su Osservatorio Balcani e Caucaso

mercoledì 23 maggio 2012

Presentazione del libro di AZRA NUHEFENDIC

Jugoslavia, vent'anni da ex - La questione balcanica nell’attualità europea
LE STELLE CHE STANNO GIÙ
Diciotto cronache, in gran parte inedite, da una
delle più autorevoli giornaliste bosniache,
nell'intento di narrare pezzi di vita di un Paese
scomparso (la Jugoslavia) e di un Paese che presto
potrebbe scomparire (la Bosnia Erzegovina).
Incontro con l'autrice
AZRA NUHEFENDIC

Venerdì 25 maggio
ore 18.00 - Padova - La Feltrinelli, Via S. Francesco
7
Interviene Gianna Tirondola

ore 21.00 - Cadoneghe - Sala Consiglio Comunale, P.zza Insurrezione 1
Intervengono:
Giovanni Petrina, Assessore alla Cultura del Comune di Cadoneghe
Mario Fiorin, Comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace
Bruno Maran, fotoreporter di "Stampa Alternativa"

Ingresso libero
ACS - Associazione di Cooperazione e Solidarietà • Associazione per la Pace • Associazione Mimosa •
ARCI • Beati i Costruttori di Pace • Comitato di Sostegno alle Forze ed Iniziative di Pace • Donne in
Nero • Gruppo Controluce • Associazione per i Beni Comuni
in collaborazione con LaFeltrinelli Padova, Comune di Cadoneghe, Festa dei Popoli

Invito seminario OBC: 01 giugno - Le mani in terra. Cooperazione e sviluppo rurale nei Balcani

Da parte di Mario Fiorin e Leonardo Barattin





Le mani in terra. Cooperazione e sviluppo rurale nei Balcani
Sala conferenze, Palazzo Grandi Stazioni, Fondamenta S. Lucia 23, Cannaregio | Venezia
01 giugno 2012
Organizzato
da: Osservatorio Balcani e Caucaso; in collaborazione con Direzione Relazioni Internazionali della Regione Veneto e UNESCO Venezia, nell'ambito del programma Programma SeeNet II
La cooperazione internazionale sperimenta pratiche innovative per stimolare processi di sviluppo sostenibile fondati sulle risorse locali, sulle relazioni sociali, sui saperi tradizionali e sulla ricchezza dei territori.
Nelle aree rurali dei Balcani, nonostante la fragilità delle istituzioni, l'insufficienza delle infrastrutture, lo scarso capitale umano e finanziario dedicato al settore primario, si fanno strada alcune avanguardie: tra queste, l'agricoltura biologica.
Dalla terra, una prospettiva originale per guardare alla cooperazione internazionale, alle trasformazioni dei Balcani e al loro processo di integrazione europea. 
Intervengono
-
Diego Vecchiato, Direzione Relazioni internazionali, Regione Veneto
-
Matteo Vittuari, Università di Bologna, autore di "Balcani Bio" (OBC, 2011)
- Mario Scalet, Ufficio Regionale per la scienza e la cultura - UNESCO, Venezia
-
Anna Brusarosco, Università di Padova, corrispondente OBC
Modera
Francesca Vanoni, Osservatorio Balcani e Caucaso




giovedì 17 maggio 2012

Olimpiadi&Bosnia: l'ombra dell'Orbit su Omarska

La ArcelorMittal, leader mondiale dell'acciaio, ha consegnato a Londra il simbolo delle prossime Olimpiadi, la gigantesca torre Orbit. In Bosnia, però, l'azienda nega il diritto a ricordare il campo di concentramento di Omarska, in funzionamento nel 1992 in una miniera ora di sua proprietà

Questo articolo è stato originariamente pubblicato nel Balkan Insight's Balkan Transitional Justice, programma regionale del Balkan Investigative Reporting Network (BIRN).

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