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giovedì 27 giugno 2013

Croazia nell'UE, ma a pezzi

di: Matteo Tacconi
Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Osservatorio Balcani e Caucaso

Una Croazia in ginocchio, colpita dalla crisi economica. Nonostante la gioia per l'ingresso nell'UE è questo il desolante quadro della situazione. Ma diventare 28mo membro dell'Unione potrebbe far cambiare qualche cosa. Un'analisi
La Croazia è a pezzi. Entra nell'Unione europea, il primo luglio, in quello che sotto il profilo economico è senza dubbio il momento peggiore della sua recente biografia nazionale. Da quando è scoppiata la crisi globale, nel 2008, il quadro complessivo è andato progressivamente peggiorando. I numeri fugano ogni dubbio, a partire da quelli relativi all’attività economica. In questi cinque anni è calata del 12%.
Le previsioni primaverili della Commissione europea, tra l’altro, indicano che il 2013 sarà un altro anno di recessione per la Croazia. Il suo Pil, nei prossimi dodici mesi, dovrebbe contrarsi di un punto percentuale. Nel 2014, invece, potrebbe tornare in positivo, seppure con ritmo anemico.
Anche gli altri valori macroeconomici lasciano perplessi. Il 2012 ha visto i consumi privati e la domanda interna contrarsi rispettivamente di tre e 2,9 punti. Mentre gli investimenti diretti hanno segnato il quarto anno consecutivo di contrazione, scendendo del 4,6%. Quanto alla disoccupazione, le stime provvisorie riportate dall’Ufficio statistico croato sono poco consolanti: 20,9%.

Cause esterne e interne

Ma quali sono, esattamente, le origini della severissima crisi che sta vivendo la Croazia? Ce ne sono di esterne, come di interne. Le prime fanno rima con Europa. La Croazia è legata alle economie comunitarie. Basta considerare che il 62% di quello che Zagabria importa e il 59,8% di quello che esporta viene dall’area UE o va verso di essa (dato 2011). A questo va aggiunto che tre dei paesi UE che registrano difficoltà particolarmente acute sono vicini della Croazia: Slovenia, Ungheria e Italia, con quest’ultima che ne risulta il primo partner commerciale, con un interscambio superiore a quattro miliardi di euro. Logico che la situazione traballante di questi paesi ha avuto impatti significativi sul fronte degli investimenti e delle importazioni.
Una Croazia in ginocchio, colpita dalla crisi economica. Nonostante la gioia per l'ingresso nell'UE è questo il desolante quadro della situazione. Ma diventare 28mo membro dell'Unione potrebbe far cambiare qualche cosa. Un'analisi
La Croazia è a pezzi. Entra nell'Unione europea, il primo luglio, in quello che sotto il profilo economico è senza dubbio il momento peggiore della sua recente biografia nazionale. Da quando è scoppiata la crisi globale, nel 2008, il quadro complessivo è andato progressivamente peggiorando. I numeri fugano ogni dubbio, a partire da quelli relativi all’attività economica. In questi cinque anni è calata del 12%.
Le previsioni primaverili della Commissione europea, tra l’altro, indicano che il 2013 sarà un altro anno di recessione per la Croazia. Il suo Pil, nei prossimi dodici mesi, dovrebbe contrarsi di un punto percentuale. Nel 2014, invece, potrebbe tornare in positivo, seppure con ritmo anemico.
Anche gli altri valori macroeconomici lasciano perplessi. Il 2012 ha visto i consumi privati e la domanda interna contrarsi rispettivamente di tre e 2,9 punti. Mentre gli investimenti diretti hanno segnato il quarto anno consecutivo di contrazione, scendendo del 4,6%. Quanto alla disoccupazione, le stime provvisorie riportate dall’Ufficio statistico croato sono poco consolanti: 20,9%.

Cause esterne e interne

Ma quali sono, esattamente, le origini della severissima crisi che sta vivendo la Croazia? Ce ne sono di esterne, come di interne. Le prime fanno rima con Europa. La Croazia è legata alle economie comunitarie. Basta considerare che il 62% di quello che Zagabria importa e il 59,8% di quello che esporta viene dall’area UE o va verso di essa (dato 2011). A questo va aggiunto che tre dei paesi UE che registrano difficoltà particolarmente acute sono vicini della Croazia: Slovenia, Ungheria e Italia, con quest’ultima che ne risulta il primo partner commerciale, con un interscambio superiore a quattro miliardi di euro. Logico che la situazione traballante di questi paesi ha avuto impatti significativi sul fronte degli investimenti e delle importazioni.

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