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lunedì 10 settembre 2007

Guido di UNAMANO: SETTIMANA ESTATE 2007

Guido Mazzonetto del Comitato Unamano di San Giorgio in Bosco ci scrive ed io volentieri pubblico.

Questa per me è stata la seconda estate in Bosnia e comunque dopo qualche viaggio fatto durante l’anno mi sento quasi come a casa mia. Questa settimana è stata diversa rispetto all’anno scorso: nel 2006 l’entusiasmo e la paura che mi hanno accompagnato durante la mia prima esperienza del genere, molto probabilmente mi hanno impedito di notare e riflettere su certe cose.

Noi di Unamano abbiamo dormito e vissuto a casa di una ragazza (Almedina) del villaggio di Skahovica e con noi è sempre rimasta anche Nihada, una ragazza che ha vissuto qualche anno in Italia e che ci ha molto aiutati con la lingua (con Almedina si parlava in inglese). Nella scuola dove di solito ci si accampava non c’era acqua (il villaggio ha problemi di acquedotto) così siamo stati ospitati da Dina (così tutti la chiamano) che avendo più possibilità “finanziarie” rispetto ad altri, ha a casa una cisterna che le permette di non avere mai problemi di questo tipo. Anche Nihada, a casa della quale abbiamo cenato più volte, ha le stesse possibilità, avendo padre e fratello che lavorano in Italia. La loro gentilezza e ospitalità sono stati davvero fantastici, non avrò mai tante parole per ringraziarle (e grazie anche alla madre di Nihada).

  • Ed ecco la prima riflessione: la differenza quasi abissale tra delle situazioni così ed altre in cui le persone non riescono quasi a sopperire nemmeno ai bisogni primari. Anche quest’anno abbiamo visitato alcuni “casi sociali”, famiglie che hanno evidenti problemi di pagarsi le medicine, il materiale scolastico per i figli, i beni di prima necessità. Molte di queste famiglie non hanno entrate: chi non può lavorare perché è invalido, donne vedove con figli a cui il marito non pensa, e ottenere dei sussidi è molto difficile. Siamo stati a visitare una signora il cui marito era ammalato e non poteva lavorare; quando finalmente era riuscita ad ottenere una specie di pensione e doveva presentarsi con lui all’ufficio per le ultime formalità, lo ha trovato morto in casa. Abbiamo lasciato qualche soldo in più per questa famiglia e lo stesso abbiamo fatto per Fatija, una signora il cui ex marito non vuole che i figli la vadano a trovare (anche i volontari del Sunsokret gli portano gli aiuti senza che il marito lo sappia), e per la ragazza che sviene (Menissa) e che ha bisogno di medicine. L’anno scorso abbiamo anche aiutato un ragazzo che aveva bisogno di materiale scolastico; quest’anno ha finito la scuola e con ottimi risultati ma non può frequentare l’università visto che i suoi genitori non lavorano. Si è pensato ad una specie di adozione a distanza…vedremo se è fattibile. Questi casi ci sono stati segnalati sia da Dino, ma anche dalla gente del villaggio che incontravamo.
  • Seconda riflessione: l’aiuto che queste famiglie hanno da chi ha più possibilità. Visitando alcuni casi sociali abbiamo appreso con molto piacere che qualche volta chi è in difficoltà viene aiutato dai suoi compaesani; c’è chi paga metà del costo dell’autobus per la scuola al figlio di qualcun altro, chi aiuta in qualche altro modo; anche la famiglia di Ademir si è impegnata in questo.
  • Terza riflessione: la non integrazione dei bambini rom (i bambini non gli vogliono nemmeno dare la mano) e allora cosa possiamo fare noi per questo? L’animazione ai bambini può diventare luogo di integrazione attraverso un percorso specifico o resterà solo fine a se stessa? Quest’anno mi sono posto queste domande probabilmente per i motivi sopracitati.

L’integrazione tra le due etnie che noi come gruppo di volontari cerchiamo di portare avanti e in cui crediamo, quest’anno è stata messa a dura prova proprio durante una manifestazione fatta appositamente per sensibilizzare la gente sul problema. Il torneo di calcetto tra i villaggi è stato macchiato da una partita palesemente combinata tra due squadre musulmane (Doborovici e Pribava) per non far accedere alla finale la squadra serba di Kakmuz. Le due sono state squalificate dopo aver (quasi) ammesso il trucco ma non l’hanno presa bene e il torneo si è concluso con cori non proprio sportivi e con un rifiuto dei premi che ha fatto capire l’aria che si respirava (il pallone come premio di partecipazione è stato scagliato lontano con un calcio sotto gli occhi attoniti di tutti). Come primo impatto io ho letto questa cosa come una sconfitta che il nostro gruppo di volontari ha subito e non sono riuscito a capire come un semplice torneo di calcetto tra bambini possa arrivare a tanto. Parlando poi con i volontari italiani del villaggio di Doborovici (AVIP ndr) che hanno discusso con i loro ragazzi di ciò che era accaduto, allora capisci che il risentimento è ancora tanto e che forse ci vorrà ancora molto tempo per una pacificazione vera e propria (molti sono profughi che vengono da Srebrenica, dove c’è stato un famoso genocidio di musulmani da parte delle milizie serbe alla fine della guerra nel ’95). Ma quello che mi fa ancora più male è che quando, tornato in Italia, ho raccontato questa storia ad alcuni miei amici, mi sono sentito dire che quello che cerco e tutti i volontari cercano di fare è solo un’illusione, perché gli slavi sono tutti uguali e sono fatti così, arroganti e che solo Tito è riuscito a tenerli “al guinzaglio” (questo mi è stato detto da un amico che viene spesso a contatto durante il lavoro con persone provenienti dai Balcani). Ma allora tutte le persone di diversa etnia che erano sposate tra di loro, tutti gli amici che non badavano alla religione che professava uno o l’altro, la convivenza pacifica che c’è stata prima della guerra e solo frutta di una dittatura? Io non conosco come sono andate le cose ma non penso che uno si svegli alla mattina e ripudi la moglie o il marito solo perché crede in qualcos’altro; penso, e spero non sia la solita retorica, che i responsabili siano i soliti governanti e che il popolo si faccia plagiare troppo. Forse dimentichiamo che anche noi italiani abbiamo avuto la nostra dittatura con la sua conseguente guerra civile e risentimento verso quelle persone che prima magari erano state amiche (le situazione erano molto diverse ma forse il concetto principale della convivenza sta in piedi). Ma quel che è peggio è che io non riesco lì per lì a far capire ai miei amici che non si può generalizzare e che bisogna continuare a lavorare per raggiungere quell’obiettivo in cui si crede. Le persone semplici cercano la pace sia che siano slavi, africani, asiatici, italiani…almeno lasciatemelo sperare.

Guido



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